Editoriale di Luigi Orsino
(N.d.r.) Vi invito a leggere questo editoriale di Luigi Orsino, per gli alti contenuti morali che esprime. A molti potrà sembrare un'ennesimo ritratto della sua situazione attuale e un'angosciante richiesta di aiuto, ma credetemi non è così. Non limitatevi a fare un "mi piaci" o un "+1" tanto per tacitare la coscienza. leggetelo e commentate perchè quello che è capitato a lui potrebbe in altri modi capitare a ogn'uno di noi e vi assicuro che cadere in "disgrazia economica" nella propria vita è terribilmente devastante, soprattutto se si è soli con una famiglia alle spalle. Come piu' volte ho scritto in altri editoriali e post, nessuno di noi è al sicuro, nessuno di noi è immune alle avversità delle vita. Si può essere sicuri della propria famiglia, del lavoro, delle amicizie, ma questa sicurezza è solamente una mera illusione a cui si aggrappano solo gli stolti. Quando una di queste umane certezze viene a mancare, tutte le altre lentamente si sgretolano come roccia lambita dalla furia dell' Oceano. La solitudine è solo l'anticamera dell'inferno, anche per chi è sordo alle sofferenze altrui.
In un’altra vita ero un imprenditore di successo, il mio lavoro era la mia vita. Tutto girava intorno al mio lavoro, finanche la famiglia doveva adattarsi ai miei ritmi lavorativi. Il benessere economico non era un fine ma solo il segno della mia dedizione al lavoro, di quanto fossi bravo a fare quel che facevo. Intendiamoci non mi sono mai arroccato su di una torre d’avorio da cui guardare gli altri dal basso in alto. Semplicemente pensavo che svolgendo in modo equo il mio lavoro, senza evadere tasse, riconoscendo ai miei dipendenti tutti i loro diritti e non tirandomi mai indietro se c’era da portare aiuto a qualcuno fosse sufficiente. Era sicuramente sufficiente a tacitare la mia coscienza, a non suscitare in me sensi di colpa.
Solo ora, che sono sprofondato nell’abisso dei diseredati, mi rendo conto di quanto fossi ipocrita. Solo ora, o meglio da quando sono stato travolto dagli eventi e trasportato di peso in una dimensione sconosciuta di cui neanche avevo percepito l’esistenza, mi rendo conto che esiste una realtà sconosciuta ai più. Una dimensione aliena che spaventa sia chi è costretta a viverla giorno per giorno sia chi si trova a confrontarsi con essa. Ho acquisito una nuova sensibilità, una percezione diversa della realtà, i miei occhi vedono cose che prima non vedevano, alle mie orecchie arrivano lamenti che prima non udivo. Non voglio far sentire in colpa nessuno, la realtà è che chi si trova sulla cima della montagna non riesce ad udire le voci di coloro che giacciono nel fondo valle. Questa mia nuova sensibilità mi ha fatto capire quanto sia ingiusto che vi sia chi può permettersi tenori di vita altissimi e chi, invece, fatica a mettere in tavola un pezzo di pane, chi può permettersi il lusso di vacanze esotiche e chi è costretto ad ascoltare il pianto dei propri figli. Ho capito che molte, troppe, cose che una volta ritenevo indispensabili erano in realtà superflue, facilmente sacrificabili. Ho capito che l’essere arrivato in cima non poteva giovare solo a me stesso ma mi poneva nella situazione più favorevole per poter meglio distribuire ciò che la vita mi aveva donato. Una più equa distribuzione della ricchezza attraverso una più solidale piattaforma lavorativa è dovere di chi si trova a gestire non solo la propria vita ma anche, forse senza saperlo, la vita di tanti altri.
La parola chiave, anzi la chiave di volta, in grado di dare equilibrio ad un mondo dominato dal disagio è: Solidarietà. Non attendere che si verifichi un evento traumatico, che non auguro a nessuno, non aspettare di essere precipitato nell’inferno dei miserabili, non socchiudere, o addirittura chiudere, gli occhi di fronte al malessere che ci circonda, anzi tenerli ben aperti e considerare anche che può capitare a tutti di ritrovarsi improvvisamente dall’altra parte della barricata. La solidarietà è una catena, una goccia d’olio gettata in una bacinella d’acqua, basta esserlo con chi ti sta vicino perché si inizi una reazione, un effetto domino che può portare benefici lontanissimo da te. Arrivare dove mai ti aspetteresti che arrivasse.
Perseguire l’utile fine a se stesso è un atto riprovevole. L’Umanità (aggettivo con la maiuscola) si esprime, al meglio, nel cercare di diffondere la solidarietà sociale. Nessuno deve più accettare come un volere del fato l’esistenza di chi ha tanto e di chi non ha niente, un concetto che chi è più fortunato può capirlo molto meglio e più pacatamente di chi, invece, è disagiato e sofferente. Certo qualcuno potrebbe dirmi: << E’ facile esprimere questi concetti ora che sei un pezzente>>. E’ vero! Ora che sono precipitato dalla cima della montagna comprendere questi concetti mi è, per forza di cose, più semplice. Vero è che io non sono mai stato sordo alle invocazioni di aiuto di chi soffriva ma comunque sento di non aver fatto tutto quello che avrei potuto e dovuto fare. Altrettanto vero è che già in tanti, non solo tra i diseredati, si sono resi conto del grande potere della solidarietà, di quanto possa essere dirompente il rispetto e l’amore verso il prossimo in difficoltà. Questa mia non vuole essere una filippica o un richiamo verso nessuno, se non verso me stesso. Spero solo che verrà il giorno in cui non dovremo più avere notizia di nostri fratelli che hanno deciso di porre fine alla loro vita per non dover rinunciare alla loro dignità, per non dover ascoltare, invano, la voce dei figli che gli chiedevano pane, per non dover rispondere. << Pane non ce ne >>. Forse è un’utopia. Oggi, sicuramente, è un’utopia. Ma un’utopia è tale, e tale resta, fino a quando tutti insieme non decidiamo di darle corpo e trasformarla in realtà.
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