venerdì 22 aprile 2016

L'INTERVISTA DI BRUNO VESPA AL FIGLIO DI TOTO' RIINA VISTA DA UN TESTIMONE DI GIUSTIZIA

Editoriale di Luigi Orsino

(N.d.R) Questo editoriale farà sicuramente discutere, ma il suo vero fine è quello di far riflettere le persone che lo leggeranno. Sicuramente non verrà molto condiviso per la paura atavica e referenziale che l' Italico popolo nutre verso le associazioni criminali

Che la mela non cada mai molto lontano dall’albero è un luogo comune non privo di fondamenta. Senza girarci troppo intorno intendo fare riferimento al figlio di Totò Riina. Come noto il sig. Salvo Riina ha, in quella sede, presentato un suo lavoro letterario. A specifiche domande del conduttore non ha preso le distanze dal padre ne ha condannato la mafia. Il Novello scrittore è fresco di gattabuia dove c’era finito per associazione mafiosa.
In verità non è di questa persona che intendiamo occuparci ma bensì del significato, ben poco occulto, di ospitare sulla tv di Stato un personaggio del genere, che per altro impone anche le sue regole per rilasciare la liberatoria. Certamente una scelta molto discutibile quella di Vespa, che supponiamo sia stata avallata da alti dirigenti RAI. A noi sembra ci sia stato in quella sede il rinnovo di un patto tra quella parte delle istituzioni colluse e la mafia. Una mafia che da tempo cerca di mantenere un basso profilo per poter “lavorare” in pace. Insomma crediamo che nulla accade per caso: Se un mafioso è ospitato sulla tv pubblica per pubblicizzare un suo libro, scatenando una ressa di contestazioni, sicuramente è un segnale.
Un segnale inquietante, una sorta di omologazione di un certo tipo di vita, vita vissuta non ai margini della società ma in guerra con la società civile. Dare la parola ad un mafioso è un insulto a tutti coloro che hanno dato la vita combattendo contro la mafia, a tutti coloro che si sono esposti ai rischi peggiori prendendo posizione contro tutte le mafie e per questo hanno pagato un prezzo sempre altissimo. Non si può e non si deve dare spazio a chi è apologeta del crimine organizzato, non si deve insultare i tanti che rischiano la vita per opporsi alla mala pianta, non si possono offendere i “travet” che ogni giorno si spaccano la schiena lavorando onestamente e non si lasciano incantare dal canto delle sirene del male. Siamo costretti chiederci in che paese viviamo se i malavitosi vanno in programmi televisivi mentre gli onesti sono rilegati nell’oblio, anzi sono respinti sempre più in basso fin sull’orlo del baratro. Cosa c’è dietro questo bestiale connubio? Niente di buono per chi ha scelto la legalità, niente di buono per nessuno. Se non di peggio il segnale che cogliamo è che vivere parassitando, esercitare la violenza e la sopraffazione, opprimere e devastare la propria terra paga e paga anche bene.
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Un esempio del genere potrebbe spingere chi ha già continuamente sotto gli occhi la vita facile dei delinquenti a saltare la barricata. E di fatto è proprio quello che succede. 
Voglio anche, in qualche modo, fornire un’attenuante al sig. Salvo Reina.  Come ho avuto modo di ribadire più volte i figli di un mafioso sono predestinati a seguire la strada paterna, troppo forte è l’esempio, troppo forte è il richiamo della bella vita che ha davanti agli occhi, troppo forte è il potere che gli si propone di esercitare. Possiamo, dunque, ritenere che questo giovane sia stato mentalmente brutalizzato, sia stato psicologicamente condizionato. Un destino segnato. Il ricambio generazionale deve essere evitato sottraendo i minori all’influenza nefasta di una famiglia in cui si respira solo aria inquinata dal malaffare e dalla violenza. I minori vanno tutelati sempre e comunque, anche i figli dei mafiosi, se non vogliamo ritrovarci, dopo qualche anno a doverli perseguire per gli stessi reati dei genitori. Invitiamo chi di dovere a valutare bene questa tesi. Se poi si volesse approfondire si vada a leggere la proposta di legge che abbiamo avanzato in proposito.


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