Editoriale della giornalista Elisabetta Reguitti
Allarme schizofrenia in Svizzera: il Paese che solo qualche anno fa definiva “ratti italiani” i lavoratori frontalieri. La nuova notizia, perlomeno bizzarra, è stata diffusa dai media locali: in una scuola di Therwil, nel Cantone di Basilea-Campagna due studenti musulmani sono stati esentati dallo stringere la mano alla loro maestra. Nelle occasioni in cui si usa farlo, due fratelli siriani di 14 e 15 cresciuti in Svizzera, potranno quindi comportarsi secondo l’insegnamento islamico per cui un uomo non può toccare una donna che non sia sua moglie. Il linguaggio del corpo ha sempre avuto la sua rilevanza anche dal punto di vista antropologico: il palmo della mano aperto verso l’altro significa che l’interlocutore, vuole parlare apertamente.
Per lo studioso americano Albert Mehrabian famoso per le sue pubblicazioni sull’importanza degli elementi non verbali nel confronto faccia a faccia, la comunicazione non verbale, in particolare quella del corpo, ha un’influenza superiore al 55% rispetto alle stesse parole: ovvero la maggior parte delle informazioni durante un discorso arrivano attraverso il linguaggio del corpo. Sulla strana autorizzazione della scuola svizzera si è espressa la ministra della Giustizia elvetica Simonetta Sommaruga giudicando “assolutamente inaccettabile” il comportamento della direzione scolastica “la stretta di mano è parte della nostra cultura, una cosa che non c’entra neppure con la libertà di religione”, ha commentato la politica facendo riferimento al diritto garantito ai due giovani studenti. In Libano, in un contesto pubblico, anche a me è accaduto che un uomo mi negasse la stretta di mano: ha abbassato gli occhi e si è allontanato. Io sono rimasta con la mia mano protesa verso di lui. Ho frequentato moschee entrando nelle quali mi sono coperta il capo e tolta le scarpe come prevede la religione musulmana. Per abitudine e rispetto mi sono sempre attenuta alle indicazioni di ogni luogo di culto visitato in vari paesi del mondo, ma sono contraria a negare ogni gesto convenzionale in un contesto sociale aperto e pubblico, in particolare se manifestato in ambito occidentale. Se le teorie antropologiche hanno un senso è come rompere un rapporto anche solo di accoglienza e cortesia: in oriente è usanza inchinarsi in segno di accoglienza e saluto e non trovo nulla di negativo corrispondere a quel gesto così come alla stretta di mano. Nello specifico del caso svizzero poi, tra l’altro, si tratta di due ragazzini che, con buona possibilità, vivendo in Svizzera, nel corso della loro vita avranno bene altre e numerose occasioni di stringere mani. Magari e me lo, auguro per loro, anche a altre donne. Che senso ha oggi autorizzarli a non farlo con la loro maestra?
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