Editoriale di Luigi Orsino
“Chiunque combatta contro i mostri dovrebbe badare a non diventare un mostro egli stesso. Perché quando scruti l’abisso, l’abisso scruta dentro di te …” (Friedrich Nietzsche)
Dolore, infinito dolore. Dolore nel dover constatare che l’Italia è un paese decadente, sprofondante nell’inciviltà di cui l’indifferenza per la sofferenza del proprio simile è il sintomo più tangibile. Cosa ci è successo? Dove è finta la gloria dei nostri antenati che civilizzarono il mondo, dove l’ardore dei nostri padri che, nel bene o nel male, vollero fare dell’Italia una nazione? Dove la forza che sempre sostenne l’italico popolo contro le avversità?
Retorica? Forse. Ma una cosa è certa: una volta gli Italiani non erano da meno ad altri popoli e di fronte ai soprusi ed angherie dei potenti non esitavano a ribellarsi. Non esitavano a ristabilire gli equilibri anche se ciò comportava il ricorso alla violenza.
Oggi siamo un popolo di ignavi che tutto sopportano, che ingoiano merda senza battere ciglia, che hanno paura che la loro ombra possa mordergli il culo. I dati aggiornati ci dicono che in Italia c’è il 36% della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà (notizia del tgcom delle 20.00 del 28/05/2016), un dato che ha colto impreparato anche me, per la sua enormità. Questo significa che su 60 milioni d’Italiani ci sono ben 22 milioni di poveri, morto di fame più, morto di fame meno. Una enormità, un esercito. Anzi no una pandemia terribile che minaccia di annientare più di un terzo di nostri fratelli. E noi cosa facciamo per evitare questa immane catastrofe? Niente! Guardiamo i tg e ci commuoviamo ai guai del popolo dei migranti, di tutti quei poveracci che perdono la vita cercando una vita migliore. Non è sbagliato avere sentimenti tanto nobili. Anzi … Ma vi siete chiesti noi che siamo sprofondati nella miseria e rischiamo seriamente la morte per inedia su quale barcone potremo prendere posto? Quale paese sarà disposto ad accoglierci? Chi verrà a salvarci mentre stiamo per affogare nel mare di merda in cui ci ha scaraventato la putrida oligarchia che ci governa? Non lo chiedete a me perché non ho una risposta, la risposta è dentro ognuno di noi, nella nostra rabbia repressa, nell’ira che cova sotto la cenere e minaccia di appiccare l’incendio ad ogni alito di vento. Non dobbiamo temere di sottrarci a chi ci ha schiavizzati, a chi ci vuole ogni giorno di più aggiogati, non dobbiamo avere paura di alzarci in piedi, ritta la schiena, a gridare tutto il nostro furore. Non dobbiamo avere paura di pretendere che chi ci ha causato tante sofferenze paghi a caro prezzo le sue colpe. Non dobbiamo più cadere nei falsi sentimentalismi, smettiamola di pensare che il governo sia fatto da buoni diavoli ma, purtroppo, incapaci. Chi ci governa, e ci tiranneggia sono dei demoni malefici, dei vampiri avidi del nostro sangue. Se una mano viene tesa ad altri poveracci, simili a noi, spersi nel mare delle speranze inutili è solo per volontà speculative, solo per alimentare un turpe commercio di carne umana, solo per ingrassare con il denaro che dovrebbe aiutare quei derelitti, solo per consolidare i rapporti con le mafie, con cui sono collusi, fornendo loro braccia per il lavoro nero e sottopagato, carne di giovani donne, ed anche ragazzini, da buttare sul mercato del sesso. Morti di fame, più di noi, da avviare ai centri di accoglienza o, se minori, alle case famiglia che altro non sono che spugne che assorbono risorse per ridistribuirle ai loro padroni, che poi sono i padroni di noi tutti. In verità io penso che ribellarsi alle sofferenze che ci infliggono senza soluzione di continuità sia, ormai, inevitabile. L’unica vera incognita è: Una volta demolita la “Bastiglia”, palazzi del potere con tutti i loro indegni occupanti chi ci assicura che chi sarà chiamato a sostituirli non sia attaccato ed ugualmente corroso dal virus del potere? Sinceramente non lo so. Ma non fare nulla per paura di sbagliare non è una soluzione accettabile. Meglio agire e correre il rischio che morire lentamente strangolati dai delinquenti che ci tengono un piede sulla testa.
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